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Altri testi e personaggi che parlano di cucina Romana


Plinio il Vecchio:  Plinio è una miniera inesauribile di informazioni sui prodotti alimentari e sui costumi Romani, nonché quello al quale dobbiamo maggiori informazioni sulle varie specie di viti e di vini conosciuti. Il libro XIV della Naturalis Historia è dedicata a questo tema; conta 22 capitoli che trattano dell'argomento nei suoi minimi dettagli, dalle varie specie di viti, la natura del suolo, il ruolo che gioca il clima, il vino in generale, i vari vini d'Italia e d'oltremare conosciuti dai tempi più arretrati, all'enumerazione dei più famosi consumatori della Grecia e di Roma. Fornisce anche informazioni preziose sulle piante odorose, gli alberi da frutto, il grano, l'agricoltura, il giardinaggio, le piante medicinali, le carni, pesci, selvaggina, l'apicoltura, la panetteria e le verdure

Visiona il libro XIV in latino

Catone:   De agri cultura Lopera più antica della letteratura agronomica latina è il De agri cultura di Catone. Il testo è costituito da una raccolta di consigli sulla coltivazione dei campi, sullarte culinaria e sulle pratiche enologiche e olearie. Catone descrive i primi segni delle trasformazione dellagricoltura latina in agricoltura mercantile; infatti sia le dimensioni aziendali sia lo specializzarsi di ogni azienda in un settore specifico tende ad ampliarsi. Grazie alla sua opera ci sono pervenuti anche degli scorci sull alimentazione dei legionari e degli schiavi; inoltre non mancano alcuni capitoli dedicati ai fichi, principale frutto dellalimentazione romana, e alla loro coltivazione: Ficos Marsicas in loco cretoso et aperto serito; Africanas et herculaneas, Sacontinas, hibernas, Tellanas atras pediculo longo, eas in loco crassiore aut stercorato serito. I fichi marischi li pianterai in luoghi argillosi e aperti; gli africani e gli ercolani, i saguntini, gli invernali, i tellani neri a picciolo lungo, tutti questi li pianterai in un terreno grasso o concimato. (Catone il Censore, De Agri Cultura,8,1)

Orazio:   Propone un dialogo in cui Fundanio, uno dei due interlocutori, racconta ad un amico il banchetto che si è tenuto il giorno precedente presso il ricco Nasidieno, il quale, pur offrendo una mensa ricchissima e molto particolare, si rivela come un anfitrione insopportabile, il cui unico scopo è quello di stupire i commensali attraverso labbondanza ma soprattutto linusualità delle portate. I cibi inusuali che Nasidieno offre sono presentati in modo spettacolare e scenografico. Ciascun piatto è accompagnato dalle spiegazioni non richieste (e quindi inopportune) del padrone di casa, riguardo la preparazione, la provenienza e le peculiarità delle pietanze. Proprio questa è la caratteristica che infastidisce gli ospiti e rivela il desiderio dellanfitrione di esibire la raffinatezza e la singolarità dei piatti, per dimostrare, ancora una volta, il suo prestigio. Orazio - Libro I, satira VIII

Petronio Attico: Satyricon, la cena di Trimalcione Un attimo dopo arrivano delle anfore di cristallo scrupolosamente sigillate e con delle etichette incollate al collo con su scritto Falerno Opimiano di cent'anni. Mentre eravamo impegnati a leggere, Trimalcione batte le mani urlando: «Oddio, dunque il vino vive più a lungo di un pover'uomo. Ma allora scoliamocelo d'un fiato! Il vino è vita e questo è Opimiano puro. Ieri non ne ho offerto di così buono, eppure avevo a cena gente ben più di riguardo». Mentre noi tracanniamo e osserviamo con gli occhi sgranati tutto quel ben di dio, arriva un servo con uno scheletro d'argento costruito in maniera tale che lo snodo delle vertebre e delle giunture permetteva qualunque tipo di movimento. Dopo averlo buttato a più riprese sul tavolo facendogli assumere varie posizioni grazie alla struttura mobile, Trimalcione aggiunge: «Ahimè, miseri noi, che cosa da nulla è un pover'uomo. Noi tutti saremo così il giorno che l'Orco ci prende. Ma allora viviamo, finché godere possiamo».

Catullo:  Carme XIII Cenabis bene, mi Fabulle, apud me paucis, si tibi di favent, diebus, si tecum attuleris bonam atque magnam cenam, non sine candida puella et vino et sale et omnibus cachinnis. Haec si, inquam, attuleris, venuste noster, cenabis bene; nam tui Catulli plenus sacculus est aranearum. Sed contra accipies meros amores, seu quid suavius elegantiusve est: nam unguentum dabo, quod meae puellae donarunt Veneres Cupidinesque; quod tu cum olfacies, deos rogabis totum ut te faciant, Fabulle, nasum. Ti invito, o mio Fabullo, ad una lauta cena, fra pochi giorni, se tè lo consentono gli dei, se sei tu a portarti la cena abbondante e succulenta, non senza uno splendore di ragazza e vino e sale e un mucchio di risate. Se - come dico - sarai tu a portare tutto ciò, ti invito, bello mio, ad una lauta cena. Purtroppo il borsellino del tuo Catullo è pieno solo di tele di ragno. In cambio avrai una sincera, affettuosa accoglienza e in aggiunta ciò che c'è di più attraente e raffinato: li offrirò il profumo che Veneri e Amorini hanno donato alla ragazza del mio cuore. tu, o Fabullo, quando lo sentirai, pregherai gli dei che ti trasformino tutto in un unico naso

Seneca: Gli dei e le dee maledicano una ghiottoneria che travalica i confini di un tale impero! Vogliono che si catturi oltre il Fasi gli ingredienti della loro gastronomia,  si preoccupano di importare dai Parti volatili invece che importare vittorie. Convogliano da ogni parte tutti i cibi noti al palato più esigente; si trasporta dall'oceano, ai confini del mondo, ciò che lo stomaco guastato dalle raffinatezze lascia appena entrare: vomitano per mangiare, mangiano per vomitare, e non si danno neppure la pena di digerire le pietanze reperite in ogni angolo della terra.
(Fasi) Fiume del Caucaso, ritenuto confine tra Asia ed Europa. Il riferimento di Seneca è ai fagiani, phasiani, che presero il nome dal fiume Phasis.
Seneca Consolazione alla madre Elvia


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